Gianfranco
Ribaldone
Le
aderenze francesi dei Colombo di Cuccaro (1422-1444)
Casus
et Gradus
Nella
concezione medievale, gradus è il livello di nobiltà (secondo la
scala feudale del vassallaggio); casus (caduta) si riferisce invece al
venir meno, per capriccio della Fortuna (ancella di Dio), di quell'insieme di
beni temporali (ricchezza, potere) che permettono ad un nobile di esercitare
(secondo il gradus) la virtù principale del suo ceto: la munificenza.
Tale
caduta non è un disonore: la nobiltà può rimanere intatta. Di tale caduta
non c'è da vergognarsi. “Tu, Signore, che tutto mi hai dato, tutto mi puoi
togliere attraverso la tua ancella di nome Fortuna”. Il gradus rimane
intatto anche dopo il casus, anzi esaltato perché sopporta il casus
senza abbassarsi a compromessi. Non c'è da vergognarsi, anzi può
significare incremento di prestigio e dignità. Questo il pensiero e lo stato
di Domenico Colombo di Cuccaro che, in un'istanza al marchese di
Monferrato (1444), scrive orgogliosamente: “cognoscens gradum et casum
suum”. Questa espressione, nella sua concisa esattezza, nella sua
cadenza omoteleutica, suona come una formula giuridica, conservando intatto il
senso contenuto nell'aforisma (il linguaggio giuridico si nutre di aforismi)
"quo altior gradus, tanto profundior casus": “quanto più
alto è il grado, tanto più profonda è la caduta”. Bisogna solo
focalizzare il contesto culturale di siffatta istanza: il gradus si
riferisce alla nobiltà, il casus alla caduta dei beni contingenti
(ricchezza, potere), non certo alla caduta di nobiltà.
Domenico
Colombo di Cuccaro decide di
salvare il suo tesoro spirituale, i suoi figli. E li allontana da sé. In
quale variopinto mosaico viene consumato tale sacrificio?
Proviamo
allora a ricomporre il puzzle, con: