Pietro
Ratto
Simonino
santo. Anzi, no!
È
la notte del 23 marzo 1475. Il piccolo Simone, due anni e mezzo appena, figlio
del parrucchiere Andrea, improvvisamente scompare.
I genitori, disperati, lo cercano per tutta Trento e per le campagne
circostanti. Ma niente da fare, il piccolo non si trova, non si trova più.
Mai settimana santa è stata più sofferta. Più intrisa di dolore e di
penitenza. Soltanto la mattina della domenica, mentre tutte le campane
salutano meste la nuova Pasqua, dopo estenuanti ricerche Simone viene
ritrovato. Morto, abbandonato alle fresche braccia di una spumeggiante roggia
che porta alla città le tormentate acque dell'Adige. Il fatto è, però, che
non si tratta di un canale qualsiasi. Quella, infatti, è la Roggia degli
ebrei; quella che si snoda proprio vicino alla Sinagoga e alla comunità in
cui vivono trenta giudei ashkenaziti. Tre famiglie in tutto. Quelle degli
usurai Angelo e Samuele e quella del medico Tobia.
Il sospetto non ha tempo di crescere che è già certezza. Gli ebrei vengono
immediatamente fatti arrestare dal Principe Vescovo di Trento, convinto da
sempre che le loro comunità sian tutte controllate dal diavolo. E che ogni
anno, a quell'epoca, impastino il loro pane azzimo con il sangue di indifesi
fanciulli cristiani, proprio come il piccolo Simone. C'è anche un
predicatore, a quel tempo, che gira per la città fomentando le ire della
gente contro i perfidi ebrei "deicidi". Si chiama Bernardino da
Feltre, e i suoi discorsi conquistano il cuore e la rabbia di tutti.
Alla fine, si decide di incriminarne quindici. Il più giovane ha quindici
anni, il più vecchio novanta. Torturati per mesi, alla fine confessano tutti.
"Sì, abbiamo ucciso il bambino. Sì, siamo stati noi. Basta che
smettiate di farci soffrire".
Così,
adesso, li possiamo vedere qui a fianco, ritratti in un medaglione appeso in
facciata al maestoso palazzo edificato sulle ceneri della loro Sinagoga,
immediatamente rasa al suolo. Possiamo vederne quattro, tutti cinicamente
intenti a sgozzare Simone. Tre uomini e una donna: Bruna, l'unica che, contro
tutte le previsioni, resiste a ogni tortura morendo sotto i ferri degli
inquisitori. Tutti gli altri, rei confessi, sono mandati a morte in seguito
alle loro ammissioni.
Simone diventa subito un martire cristiano. Il vescovo, grande cultore di
reliquie e sommo sostenitore dell'inquisizione, lo proclama in fretta e furia
beato. E ne diffonde rapidamente il culto. Tutto ciò, nonostante le
perplessità di papa Sisto IV, talmente poco convinto dal risultato di
quelle frettolose indagini da inviare un suo legato. Che in poco tempo si
mette dalla parte degli ebrei e denuncia molteplici irregolarità in tutta
l'inchiesta, ma che viene boicottato fino al punto di dover scappare da Trento
e rifugiarsi a Rovereto. Niente da fare, il Principe Vescovo Giovanni
Hinderbach è irremovibile. Simonino dev'esser fatto santo. E tutti gli
ebrei di Trento, immediatamente cacciati.
Passano
i secoli. Ne passano cinque, scanditi da innumerevoli processioni di
agguerriti fedeli e da ricorrenti esposizioni degli strumenti di tortura
utilizzati dai perfidi ebrei, nel corso del loro storico infanticidio. Poi la
frittata vien rivoltata.
Risale infatti al 1965 la cosiddetta "Svolta del Simonino",
quella che si verifica quando l'arcivescovo di Trento Alessandro Maria
Gottardo fa pubblica ammenda, e dichiara che no: non ci sono prove circa
l'effettiva responsabilità di quei quindici ebrei massacrati
dall'Inquisizione. E ritira il culto del Simonino, le cui spoglie vengono
fatte sparire dalla Chiesa di San Pietro, in cui abusivamente riposavano da
cinquecento anni. Simone non è più beato, perché è stato ucciso dalla
gente sbagliata. Naturalmente, nessuno restituisce vita e dignità alla
disgraziata comunità ebraica. E la faccenda sembra chiusa così.
Quarant'anni dopo, la nuova svolta. Lo storico italo-israeliano Ariel Toaff
scrive a chiare lettere che è vero: di quell'eccidio giudeo le prove non ci
sono proprio. Ma che non è da escludersi che alcune comunità ashkenazite si
siano in passato dedicate a qualche sanguinaria pratica di quel tipo. I suoi
colleghi si affrettano a smentirlo: le cruente confessioni a cui lo storico si
riferisce per poter affermare cose così gravi non avrebbero nulla di vero e
sarebbero state estorte dall'Inquisizione grazie alle solite, terribili
torture. Ma Toaff controbatte: se non accettate quel tipo di confessioni, allo
stesso modo non dovreste dar per buone nemmeno quelle con cui i malcapitati,
contestualmente, dichiaravano ai loro torturatori di esser sempre rimasti
segretamente ebrei nonostante la loro ufficiale conversione al Cristianesimo.
E la discussione si ferma lì.
Così,
dopo centinaia e centinaia di anni, nulla ancora sappiamo di ciò che accadde
al piccolo Simone, in quel giovedì santo del 1475. Ancor meno sappiamo del
dolore infinito che straziò i suoi genitori.
L'unica certezza che ci resta è che la Storia, l'intricata narrazione della
nostro passato, è tanto affascinante quanto inquietante.
E soprattutto, mai certa e definitiva.